A sinistra dell’ingresso, un gruppo di zare. “Zare, non giare” mi spiegano. “Gli artigiani che le hanno costruite avevano laboratori a Mestre o a Venezia, ma era nozione comune che la loro arte venisse dalla Dalmazia, ed in particolare da Zara. Ecco il perché del nome: zare. All’esterno sono in rame; all’interno in stagno”.
Continuano: “Vedo che sta osservando i numeri su quella tabella. Che cosa potrebbero mai essere, secondo lei?”
“Beh”, rispondo “o la tombola, o il lotto...”.
“Il lotto: esatto. Un tempo, quando il lotto era l’unico gioco di Stato e venir a conoscere i numeri estratti poteva essere complicato, le osterie pubblicavano, al modo che lei vede, le estrazioni che avvenivano su una particolare ruota. Qui si pubblicizzava la ruota di Venezia, ma altri locali facevano spazio ad altre ruote. Così i paesani ed i contadini, quando entravano qui, potevano controllare le ricevute”.
Dietro il banco, su un mobiletto, alcuni vecchi bricchi. “Si chiamano cuchéti. L’avventore entrava e chiedeva la quantità di grappa che voleva. Dammi un cuchéto. O anche mezzo cuchéto. E poi c’erano le tagliatelle...”
Alcune zare stanno in fila sul ripiano più alto della scansia dietro il bancone. Ciascuna, nella parte più bassa, alloggia un minuscolo rubinetto; sotto ciascun rubinetto, per raccogliere eventuali gocce, sono legate piccole vaschette, grandi poco più che tazzine.
“Soprattutto in tempo di guerra non si sprecava nulla. Figurarsi la grappa. Le zare ne contenevano tipi anche diversi; ogni tanto si vuotavano le tazzine in un recipiente che, cosi, le raccoglieva tutte, di qualunque tipo fossero”.
“Un mix”.
“Certo. E sa quale era l’immagine simbolo della tagliatella? Arlecchino. Tanti colori. Tante varietà di grappa”.
Tra le zare, al centro del ripiano, c’è uno spazio; nello spazio, una immagine sacra. “È Sant’Anna, la madre della Madonna. Perché l’immagine di una santa accanto ad ettolitri di grappa? Presto detto: Sant’Anna è la patrona dei bottai. Quindi, per estensione...”.